Pitta è una parola di origine greca e originariamente infatti si trattava di una focaccia che gli antichi popoli italici e i Romani offrivano alle divinità nelle celebrazioni che avvenivano nei templi.


Pitta mpigliata o nchiusa Ricetta Calabrese

Ma anche la parola Pita, che è stata aggiunta nei dizionari italiani piuttosto recentemente, si riferisce ai Balcani ed alla cucina greca e può avere un legame con la nostra Pitta, che infatti nel greco moderno significa dolce o torta.
La pitta nchiusa o mpigliata viene proposta sulle tavole natalizie principalmente nelle tre province a nord della Calabria, Catanzaro, Crotone e Cosenza.
Avanti tutta, Signori. I veri fighi calabresi sono quelli che oltre a sbiadite foto di peperoncini, ti regalano libri in ricordo di antiche ricette. Non importa se i titoli lasciano pochi dubbi su come volevano avvalersi di te: Cucina Calabrese. Mi soffermo alla voce pitta ‘mpigliata. “Pitta ‘mpigliata” -sta per ‘pane ripieno’ – che nasce come dolce matrimoniale, e da lì è diventata dolce delle feste tout court – infatti solitamente la sua epifania si osserva intorno a Natale e Pasqua. Mh, interessante. E anche la ricetta sembra convincente. Ma un’interrogazione orientativa al santo google bisogna pur farla. Per la sfoglia: farina, uova, zucchero, olio extravergine d’oliva e un aiutino alcolico gli ingredienti imprescindibili, il resto è leggenda. La grande diaspora- nel mare magnum delle ricette calabresi- si divide già sul primo punto: lo spessore della sfoglia: chi la vuole sottilissima, chi spessa. Ma è solo l’inzio. Ci sono modi e modi di arrotolare le roselline di pasta farcita, la frutta secca usata nel ripieno varia in proporzioni e componenti da un focolare all’altro e ovviamente ciascuno ha la sua segretissima e inimitabile miscela di liquori per profumare il tutto. Più disorientata che persuasa mi accingo alla preparazione eliminando lo zucchero dalla sfoglia data la valanga di miele prevista nel ripieno. Il resto è storia. E adipe.

Pitta ‘mpigliata

  • farina 500g
  • vino moscato 2dl
  • olio evo 2dl
  • uovo 1
  • lievito per dolci mezzo cucchiaino
  • sale una presa
  • cannella un cucchiaino per il ripieno
  • fichi secchi 100g
  • uvetta 50g
  • noci 150g
  • mandorle 50g
  • pinoli 50g
  • arancia bio 1
  • miele 150g
  • rum 2 cucchiai
  • cannella 1 cucchiaio + miele 50g
Tritare al coltello tutta la frutta secca. Condire con la cannella, la buccia grattugiata dell’arancia e il suo succo spremuto, il rum e il miele, mescolare bene e lasciar riposare per un paio di ore.
Versare la farina, con il lievito e il sale, a fontana sul ripiano, versare il vino, l’olio e l’uovo in mezzo, e impastare il tutto. Se necessario aggiungere qb di farina in modo da ottenere un’impasto morbido e non colloso. staccare un quarto dell’impasto, stenderlo, al matterello, a 2mm, ritagliare un disco e sistemarlo in una teglia tonda (la mia sarà un 20cm di diametro). Stendere un’altro pezzetto di impasto, a 1-2mm di spessore, ritagliare delle strisce larghe 3cm e lunghe 20cm, deporre su ogni striscia un cucchiaio di ripieno, distribuirlo lungo tutta la striscia e arrotolarla, sistemare i rotolini nella teglia, stringendoli leggermente. Procedere allo stesso modo fino a riempire la teglia di roselline di pasta farcita di frutta secca. Infornare a 170°C per circa 1h. Diluire il rimanente miele con altrettanta acqua, e usarlo per spennellare un paio di volte il dolce durante la cottura. Sfornare e lasciar raffreddare completamente. La risultante è una via di mezzo fra mince pies inglesi cariche di frutta secca e i dolcetti arabi affogati nel miele.